L’evoluzione della medicina del lavoro e’ differente da tutte le altre branche del sapere medico. Il progresso tecnologico e la crescente capacità dell’uomo di incidere sull’ambiente circostante hanno continuamente alterato la qualità e l’intensità’ dei pericoli connessi alle attività umane, introducendo nuovi rischi e nuove malattie.

La separazione tra attività produttiva e ambienti di vita e la preoccupazione per gli effetti dell’inquinamento sulla salute della popolazione sono temi piuttosto recenti nella storia del lavoro umano e della prevenzione delle malattie. La promiscuità e’ stata piuttosto la regola che l’eccezione nella storia. Le malattie infettive che oggi conosciamo, e molte altre che hanno perso il loro effetto patogeno, sono originate dal contatto stretto e continuo degli uomini con gli animali che allevavano e da cui ottenevano il sostentamento. Ancora oggi l’influenza aviaria e’ il risultato di questa promiscuità densa, tuttora diffusa nei paesi in via di sviluppo. Prima della rivoluzione tecnologica che consentì la creazione di comunità stanziali dedite all’agricoltura nelle quali uomini e animali condividevano gli spazi di vita, le malattie infettive erano probabilmente molto rare.

Le prime forme di lavoro organizzato tuttavia risalgono probabilmente al paleolitico inferiore quando la forza lavoro era principalmente costituita da soldati e cacciatori. L’organizzazione sociale era molto semplice e le attività di raccolta erano affidate all’iniziativa individuale. Con la crescente complessità delle società umane e la progressiva abilità di accumulazione e conservazione delle risorse alimentari, la schiavitù divenne il sistema di organizzazione del lavoro più diffuso. Durante l’espansione demografica e la concentrazione di potere nelle classi militari e sacerdotali generate dalla rivoluzione agricola, la relativa scarsità di manodopera disponibile rispetto all’estensione dei terreni coltivabili rendeva la riduzione in schiavitù e il controllo del lavoro tramite la forza una soluzione appetibile per le classi dominanti. L’abolizione di questa forma brutale di oppressione e’ fatto tutt’altro che acquisito: ancora oggi milioni di persone nel mondo vivono in condizioni di lavoro coatto e abietta soggiogazione e miseria.

Le patologie da lavoro furono oggetto dello studio di numerosi filosofi e pensatori greci e romani: Senofonte, Lucrezio, Galeno, Ippocrate furono tra i maggiori studiosi delle attività umane e del loro effetto sulla salute. Nonostante fossero note molte malattie da lavoro, le cure mediche erano prestate solo alle classi privilegiate e a gladiatori e soldati, ma raramente ai lavoratori manuali. Le prime leggi di tutela del lavoratore furono comunque introdotte da Cornelio nel 82 a.c. e successivamente dall’Imperatore Claudio. Queste leggi vietavano al padrone di uccidere i propri schiavi e imponeva di prestare cure mediche in caso di malattia grave.

Dalla caduta dell’impero Romano fino al Rinascimento italiano l’interesse per la medicina del lavoro fu solo marginale nonostante notevoli avanzamenti tecnologici avevano cambiato il panorama dei pericoli e delle esposizioni causati dalle attività umane. Le tecniche di navigazione rendevano possibili viaggi prolungati per mare e facilitavano i commerci e i contatti fra culture diverse ma cominciarono a osservarsi malattie da carenza alimentare come lo scorbuto nei marinai e le prime terribili pandemie di malattie infettive, il primo effetto della globalizzazione. Contemporaneamente la metallurgia migliorò la varietà e le applicazioni dei minerali utilizzati, ma introdusse nuovi rischi di intossicazione. La prima descrizione dell’intossicazione da piombo, frequente fino a qualche decennio fa’ nei lavoratori minerari e dell’industria metallurgica del XX secolo, fu riportata da Paolo Eginate nel VII secolo d.c.

Al XIII secolo risale invece il primo “rapporto pubblico” sugli effetti dell’inquinamento atmosferico causato dall’uso del carbone come sorgente energetica. Nel 1306 una commissione di studio londinese bandì, con scarso successo, l’uso di carbone per il riscaldamento domestico poiché ritenuto insalubre all’interno delle mura cittadine. L’invenzione della polvere da sparo da parte dei cinesi e la sua diffusione in Europa nel XVI secolo introdusse pericoli da intossicazione da nitrati. Nel XVI secolo Abroise Pare’ descrisse per la prima volta nella storia una ferita da arma da fuoco.

I primi trattati della disciplina furono redatti a partire dal XV secolo in Germania e in Italia. I testi descrivevano i processi produttivi e i pericoli per la salute ad essi correlati. Nello stesso periodo vennero pubblicati i primi opuscoli informativi sulla prevenzione delle malattie da lavoro nella storia. In quegli anni Agricola redigeva il primo compendio di igiene industriale, De Rerum Metallica, sui processi di estrazione dei minerali. Nonostante Agricola riconoscesse le proprietà tossiche dei minerali e i pericoli dell’attività’ estrattiva, attribuiva all’incompetenza dei lavoratori la causa della maggior parte degli incidenti e delle malattie, un’opinione questa che ha resistito nella società fino alle soglie del XX secolo.

Tra il XV e il XVI secolo le gilde dei lavoratori, gli equivalenti degli attuali sindacati e corporazioni, avevano sviluppato un sistema di mutua assistenza e garantivano cure mediche e redditi di sussistenza ai lavoratori infortunati e alle loro famiglie.

Tra il XVII e il XVIII secolo l’Europa attraversò un periodo di intenso sviluppo economico, tecnologico e culturale. L’Illuminismo mise in discussione la natura del potere e dei rapporti tra gli individui e lo Stato che influenzò grandemente il successivo sviluppo del liberalismo, del socialismo e delle forme statuali democratiche. Come il padre del sistema di salute pubblica inglese scrisse nel 1890, “dall’Illuminismo nacque una nuova umanità, […] la giustizia non pesa il suo equilibrio in base al rango o al credo, al colore o alla nazionalità degli uomini. […] le migliori politiche sono quelle che massimizzano il benesseree il valore degli esseri umani”. Nonostante questo la traduzione dei diritti politici e civili originati dall’affermazione dell’illuminismo, in diritto alla salute fu lento, controverso e spesso disorganico. Le stravolgenti disuguaglianza sociali prodotte dalla rivoluzione industriale crearono forti tensioni sociali esacerbate dal repentino inurbamento dei lavoratori che improvvisamente si trovarono a ridosso delle abitazioni dei ricchi nelle citta’ sempre più densamente popolate. L’esplosione demografica e la diffusione di epidemie infettive sollevarono un clima sempre più minaccioso sulle classi dirigenti dell’epoca. I principi dell’Illuminismo inoltre concorsero nel creare una crisi di delegittimazione del potere che facilitò l’estensione dei diritti e della redistribuzione della ricchezza.

In questo contesto il medico italiano Bernardino Ramazzini, ancora oggi considerato il padre della moderna Medicina del Lavoro, elaborò il primo trattato sistematico e completo della disciplina, il De morbis artificum diatriba. Nel proemio della prima edizione del libro il medico di Carpi scrisse: «Pubblico un’opera non perfetta, soprattutto per sollecitare altri ad apportarvi contributi, fino a quando non sarà esauriente ed organicamente sviluppata in tutte le sue parti, così da meritare la giusta collocazione nel campo più vasto della medicina. Questo è certamente un dovere da adempiere nei confronti dei lavoratori, dalla cui attività, quasi sempre estremamente faticosa e degradante ma necessaria, derivano tanti vantaggi a tutti gli uomini. Ciò è un debito, lo ripeto, dell’attività la più illustre fra tutte, come Ippocrate definì la medicina nei Precetti, ”che cura anche gratuitamente e soccorre il povero”».

Da allora i destini della medicina del lavoro e il suo ruolo nella società sono stati variabili e discontinui a seconda delle priorità e degli interessi dominanti nella società; ci occuperemo nelle prossime puntate del passato recente e dell’attualità’ della medicina del lavoro. Ancora oggi i fautori dell’etica libertaria ritengono i diritti alla salute non legittimi in quanto prevedono, per la loro realizzazione il conculcamento delle libertà individuali attraverso la tassazione e il potere redistributivo dello Stato. Questi filosofi sociali ritengono pertanto che la salute sia un solo un bene commerciabile. Eppure il diritto alla salute attiene alle due fondamentali libertà di uno stato liberale. La libertà dalla malattia e dalla sofferenza e la libertà di decidere e autonomamente agire nella società. Per questo riteniamo che una democrazia sostanziale e non meramente procedurale non possa prescindere dal riconoscimento del diritto alla salute, almeno nei termini che garantisca l’uguaglianza di ogni cittadino nella propria personale epopea di vita nella società.